martedì 23 settembre 2008

PASTA MADRE e pane della Tradizione. Solo farina e acqua per il lievito naturale.

NO ALLA FARINA RAFFINATA, CIOE' BIANCA, FOSSE PURE MANITOBA O BIOLOGICA. Parliamoci chiaro: se avete intenzione di preparare il pane con la normale farina bianca raffinata 00, 0 o Manitoba (una farina “forte”, dicono i panificatori, nel senso che forma molto glutine: questo, solo questo a loro interessa, non le altre sostanze nutritive!), cioè se vi accontentate di avere un pane mediocre o cattivo perché privo di fibre, germe, vitamine, sali minerali e sostanze antiossidanti, come quello dei supermercati e delle panetterie abituali, non leggete oltre: il lievito a pasta acida o selvaggio o “naturale” o di “pasta madre” non vi serve, è un’inutile perdita di tempo, una fisima assolutamente insensata e snob, visti tutto il lavorio che pretende la pasta madre e la bassissima qualità biologica di tutte le farine raffinate ("deboli" o "forti" che siano). In questo caso non leggete oltre e usate il normale lievito di birra (fresco o liofilizzato che sia): è ottimo, altamente igienico, contiene solo saccaromiceti naturali allevati scientificamente e nessuna sostanza chimica estranea, è molto efficace, lievita molto più della pasta madre, non ha nessun effetto negativo.
      Ma perché fare in casa il pane con la farina bianca la pasta madre è inutile? Non sarebbe sempre meglio? No. Perché la pasta madre non aggiunge nessun nutriente a una farina povera di nutrienti com'è quella raffinata; non è un miracoloso toccasana che compensa i difetti delle squallide farine industriali 0, 00 o Manitoba (anche se fossero biologiche), tutte carenti di protettivi acidi grassi essenziali, vitamine del gruppo B ed E, sali minerali e antiossidanti, in pratica quasi soltanto amido, cioè zucchero. E neanche aggiunge fondamentali sostanze extra-nutrizionali e perfino anti-nutrizionali (utili, però, nella protezione), come fibre solubili e insolubili, saponine, fitati, anti-enzimi, polifenoli e altri antiossidanti anti-cancro, anti-lipidi e anti-glucidi. Tutte carenze di cui soffrono le farine raffinate 0, 00 o Manitoba, perfino nel caso in cui (ecco un'altra stranezza snob) fossero biologiche. Le farine raffinate, infatti, non sono “naturali”, sono state brutalmente setacciate, devitalizzate, private di ogni sostanza protettiva (p.es. si toglie l’intero germe di grano, il nucleo biologico del chicco, altro che sola crusca). E dato che l'unico vantaggio-svantaggio nutrizionale (indiretto) della pasta madre è la neutralizzazione dei fitati anti-minerali (ma anche anti-cancro e perfino anti-metastasi) delle farine integrali - cosicché solo il pane integrale lievitato a pasta madre non è ladro di calcio - se la pasta madre è inutilmente applicata alla farina bianca priva di fitati non ha modo di esplicare nessuna azione nutrizionale vantaggiosa. E allora che bisogno c’è di pasta madre nel pane bianco?
      Il pane di farine bianche raffinate va considerato poco più che amido puro, quindi del tutto artificiale e inadatto alla salute, perché le farine sono state ridotte così da una molitura industriale utile non alla completezza della nutrizione umana, ma solo a conservarle più a lungo. 
      Ecco i tre ordini di motivi per cui le farine raffinate 00, 0 e Manitoba, ancorché biologiche, sono vivamente sconsigliate per la panificazione:

1. Non sono naturali in quanto pesantemente trasformate rispetto a quelle ottenute dalla macinazione del chicco intero presente in Natura (la composizione nutrizionale della farina raffinata è diversissima da quella del chicco d’origine: ha un’altissima percentuale di amido, fonte di calorie vuote, come lo zucchero); 
2. Non sono adatte come nutrimento abituale dell’uomo, che necessita di fibre abbondanti per ridurre la glicemia e la secrezione di insulina, e per favorire la fermentazione protettiva ad opera dei batteri che produce i salutari SCFA (short-chain fatty acids, acidi grassi saturi a catena corta); 
3. Non sono adatte alla prevenzione attraverso il cibo, visto che i cereali li mangiamo tutti, ogni giorno e per tutta la vita, e che quelli integrali hanno anche una funzione protettiva, cioè riducono i rischi delle malattie da benessere. Perché ormai si pretende che il cibo più frequente e abbondante sia anche protettivo.

E’ stato provato in studi epidemiologici e clinici che i cereali raffinati – quindi il pane bianco, fosse pure ottenuto con lievito a pasta madre – sono collegati a più alti rischi di sovrappeso, stipsi, resistenza insulinica, diabete, ipercolesterolemia, sindrome metabolica, malattie cardiovascolari, e alcuni tumori, tra cui quello al colon-retto, e perciò devono essere considerati come alimenti da consumare “il meno possibile”, proprio come lo zucchero, i grassi saturi e le carni “rosse” (cfr. piramide di Willett e Stampfer, Università di Harvard 2001).*

E ORMAI DI PANE BISOGNA MANGIARNE POCO, ANCHE POCHISSIMO O NULLA... Chi non è attirato dal buon pane rustico e sano d'una volta, specialmente la caratteristica squisita e pesante pagnotta fatta con la pasta acida? Noi per primi ne siamo ghiotti, purché integrale. Ma ce la possiamo permettere tutti un'aggiunta così calorica alla normale dieta giornaliera, senza riorganizzarla totalmente? No. Il pane non va aggiunto ai pasti, ma è di per sé una vera e propria pietanza che va calcolata attentamente, al pari di pastasciutta o polenta o pizza. Ma la gente spensieratamente lo mangia "per accompagnamento" o addirittura come tartine cosparse di olio o cibi grassi o inzuppandolo in minestre già amidacee, come se non fosse il più problematico e insidioso degli alimenti, spesso una delle cause di sovrappeso, insomma senza calcolarne l'alto tenore di amidi e calorie. Ben pochi quando mangiano una fetta di pane si preoccupano di saltare il primo piatto (o metà porzione se si tratta d'una mezza fetta). Quasi nessuno, finita la digestione, si applica a praticare un pesante esercizio fisico per "bruciare" quegli zuccheri in più ed evitare che - con riserve sature di glicogeno nel fegato e nei muscoli - quell'amido supplementare, proprio come lo zucchero, provochi la de novo lipogenesis, cioè la sintesi da zero di grassi nel fegato (a cominciare dall'acido saturo palmitico) poi molto difficili da eliminare. Ecco come un ghiottone o anche un consumatore abituale e distratto di pane può facilmente aumentare il "giro-vita" e ingrassare, anche senza consumare un grammo di grassi!
      Perciò oggi la scienza ci impone, prendendo atto del nostro sedentarismo di massa, di mangiare meno cibi ricchi di carboidrati. E allora, poco o pochissimo pane, e sempre calcolandolo come più calorico della pastasciutta cotta e condita (che infatti è molto più idratata del pane, spesso diluita da pomodori o verdure, quasi sempre abbondanti, e quindi è più sana e dietetica, specie se integrale). Ma almeno, questo "lusso energetico" che è diventato per colpa del nostro sedentarismo il pane, sia buono, anzi ottimo, e pure protettivo della salute, cioè integrale. 
      Parliamoci senza giri di frasi: sarebbe stupido, visto il pochissimo pane che possiamo mangiare, perdere tempo a fare in casa un pane, oltretutto bianco e raffinato, quindi inutile, anzi dannoso, con un laborioso lievito a pasta madre! Certo, ormai si è diffusa la la moda, assolutamente positiva in teoria perché rivela comunque una maggiore attenzione al cibo, del farsi in pane in casa, meglio se col lievito acido a “pasta madre”. Centinaia di siti web, articoli e libri si sono gettati sulla materia per riscoprire fuori tempo massimo - e proprio ora che siamo diventati tutti sedentari e dobbiamo consumare meno amidi e carboidrati in genere - una cosa banalissima e risaputa: che il pane all’antica, fatto come si faceva fino al primo Ottocento, è migliore di quello (pessimo) che si acquista dal fornaio o al supermercato. Grazie tante: noi lo dicevamo inascoltati già decenni fa. Ma il processo di lievitazione acida è lungo e complicato, perché bisogna tener conto di numerosi fattori. Ne vale la pena? Non sempre. Proprio oggi che di pane bisogna mangiarne poco, pochissimo, anche niente, perché si è notato che – specialmente se è buono – non si sostituisce ma va ad aggiungersi alle pietanze normali già troppo ricche di carboidrati, e quindi aumenta le calorie giornaliere per tutti noi sedentari, insomma – non per colpa sua, ma nostra – fa ingrassare. E poi può essere dieteticamente diseducativo, può sostituirsi a squisite antiche minestre tradizionali, impedire di gustare stupendi piatti di cereali integrali che hanno gusto unico e proprietà interessanti che il pane non ha, e per di più veicolano anche molti altri nutrienti e condimenti (p.es. utili spezie ed erbe aromatiche) che altrimenti non si sa come assumere.
      Gli storici e antropologi hanno assodato che nella nostra ricca cultura etrusco-romana, così dotata di vegetali freschi, minestre di grani, legumi e polente, il pane non è mai stato un “cibo primario” o fondamentale dell’Uomo, come ha messo in testa alla gente il Cristianesimo. La favola del Vangelo, con l’ostia che deriva dalle piadine di pane azzimo, è ambientata in un’altra cultura, quella dell’arido Oriente, con pochi vegetali freschi, dove i nomadi vivevano di pane secco, vero e proprio cibo da viaggio. Per noi, più civilizzati e fortunati, invece, sono sempre state le minestre, i legumi e le pietanze umide il cibo primario, mentre il pane è stato il primo fast food di emergenza, facilmente trasportabile, adatto alle merende fuori casa di lavoratori, pastori, soldati, servi e cacciatori, oppure per i cittadini poveri privi perfino di una cucina. Insomma, non un normale cibo da casa. Basti pensare che quando aprirono le prime panetterie pubbliche a Roma (piuttosto tardi, solo nel II sec. a.C.) ci furono proteste, come oggi per i MacDonald.

I LIEVITI, IL LIEVITO, LA LIEVITAZIONE. La lievitazione d’un impasto di farina e acqua è insieme un evento meccanico, chimico e biologico. In tutti i tipi di lievito, quello che fa lievitare, cioè alzare e rendere più leggera la pasta grazie ai tanti buchi, è sempre lo stesso processo chimico-fisico: nell’impasto, grazie al lievito, qualunque lievito, si forma il gas anidride carbonica CO2, che tentando di uscire dalla pesante massa dell'impasto di farina e acqua crea tante bollicine che l'alleggeriscono e favoriranno cottura, masticazione e digestione. Però le differenze tra i lieviti sono molte, e a parte i modi e i tempi della lievitazione (da 15-20 min. con le polverine del lievito chimico a 1 ora circa con il lievito di birra, fino a 8-12 ore e più con la pasta madre), anche il sapore, il valore nutrizionale e la conservabilità cambiano molto a seconda del lievito usato.
      Nella scienza biologica si chiamano “lieviti” più di mille specie di funghi microscopici (p.es. la Candida, che però nessuno vorrebbe avere nel proprio corpo). Sono cellule complesse “troppo pesanti per essere trasportati dall’aria” (Ist. Sup. Sanità), ma ubiquitarie. L’ingegno dell’Uomo ne ha usati alcuni che lavorano in assenza di ossigeno (anaerobii) per far lievitare il pane e far fermentare le bevande alcoliche. Infatti, Saccharomyces cerevisiae, il lievito più utilizzato da migliaia di anni per la produzione di pane e birra, converte parte degli zuccheri solubili e amidi in anidride carbonica e alcol (fermentazione). Il gas anidride carbonica ha il compito di produrre bolle che alleggeriscono e fanno alzare il pane, permettendo anche una cottura migliore anche in profondità, e poi rendendolo dopo la cottura più facilmente masticabile. L’alcol evapora durante la cottura.
Il lievito di birra, che altro non è che una colonia di Saccharomyces cerevisiae, si forma naturalmente come strato biancastro che galleggia sulla superficie della birra in formazione. Ma esistono anche molti altri lieviti “selvaggi” presenti sui frutti, chicchi e quindi nella stessa farina.

I lieviti per fare pane, pizze e torte cresciute sono di due tipi: biologico o chimico. A sua volta il lievito biologico può essere di due tipi: allevato o selvaggio.

1. Lieviti biologici o naturali, cioè i lieviti veri e propri, sono microrganismi viventi che attaccano l’amido della farina per nutrirsene e producono anidride carbonica che renderà spugnoso, quindi leggero e facile da cuocere e da consumare, l’impasto del pane. Si dividono in due tipi: uno moderno, allevato e standardizzato, l’altro antico e selvaggio:
Lievito di birra fresco1.a. Lieviti allevati dalla moderna industria sui residui della birra o della lavorazione degli zuccheri. Formano, una volta coltivati, concentrati e compressi, il comune “lievito di birra” fresco, formato in piccoli panetti acquistabili in tutti i supermercati alimentari (bancone frigorifero), oppure in grossi panetti per fornai e pizzerie (da cui si può acquistare sfuso sbriciolato a pezzi irregolari, v. immagine accanto). Anche questo va conservato ben chiuso in carta alluminizzata a prova di umidità (o in barattolo) in frigorifero. Si conserva solo pochissimi giorni. e quando non è più sodo ma comincia quasi a liquefarsi o peggio a cambiare colore, va gettato.
      Questo lievito, a differenza del lievito acido a pasta madre. che è di composizione sconosciuta e comunque sempre diversa, si sa quello che contiene: ha un contenuto sempre uguale e standardizzato ovunque, in tutto il Mondo. E’ costituito da una colonia monospecifica di solo Saccharomyces cerevisiae o analogo. Il lievito di birra va benissimo per il pane e le focacce cresciute, perché è potente, naturale e sano, e infatti è quello normalmente usato in quasi tutto il pane che si vende. E’ potente, fa il pane alto e con buchi grossi o medi in appena un'ora di lievitazione (una cosa che gli Antichi si sognavano). Va bene anche per piadine, pizze basse lievitate, dolci lievitati, perché è molto più sano e saporito di quello chimico; eppure casalinghe, pasticceri e cuochi sono riluttanti perché sostengono che lascia un suo sapore, sia pure leggero. Ma sbagliano perché ormai propagandano una cucina senza sapori. Può essere usato e dà buoni risultati anche nell’impasto del pane con farina integrale. Fa lievitare (raddoppiare) l’impasto in poco tempo, da 1 ora o 1 ora e 30 minuti, o poco più. L’acqua non deve essere clorata, ed è preferibile tiepida (30°C). E’ bene non mescolarlo direttamente al sale, che ritarda la lievitazione, ma fare due impasti, uno col lievito e farina e l’altro col sale e farina, che poi verranno uniti. Il lievito di birra è tipicamente a lievitazione rapida. Che, attenzione, non vuol dire né artificiale, né dannosa, né tantomeno con metodo chimico. come credono molti. 
      Il lievito di birra viene usato anche come lievito del "primo pane" integrale quando si vuole costituire una colonia iniziale sufficientemente potente, almeno all'inizio, per la pasta madre. Partire da una pasta acida iniziata dal lievito di birra come starter è più sicuro e rapido che iniziare da sola farina e acqua.

1b. Lieviti selvaggi, microrganismi invisibili a occhio nudo presenti naturalmente nella farina e nell'aria, di diverse specie a seconda dei luoghi. Sono questi i lieviti che colonizzano un impasto casuale di acqua e farina abbandonato a se stesso e poi formeranno dopo diversi giorni o settimane il cosiddetto lievito a “pasta madreo a "pasta acida" o "naturale" o "all'antica", da soli o insieme con quelli del lievito di birra, se questo - come è consigliabile - ha fatto da starter (v. sopra in immagine 1 e sotto in “Ricetta della pasta madre”). E' noto come lievito antico perché è quello noto a Egizi, Greci, Etruschi e Romani, utilizzato regolarmente fino al secolo scorso (anche se durante la vinificazione lo si poteva costituire a partire dall'impasto di farina e mosto d'uva). Più noto come 
"naturale” o biologico per antonomasia, ma è bene sottolineare che anche quello di birra è naturale o biologico, in quanto fatto di organismi viventi, sia pure allevati e di una sola specie, ben nota, mentre la "pasta madre" è costituita di lieviti selvaggi, di più specie non identificate (e ogni pasta madre è diversa dalle altre e ci vorrebbe un'analisi di laboratorio di biologia per identificare le diverse specie presenti di lieviti, e talvolta anche di batteri).
      Il lievito selvaggio a pasta madre, a differenza del cugino "educato" e allevato ("di birra"), che è potente e lascia poco o niente sapore al pane, è poco potente, ma in compenso apporta all'impasto un sapore e un odore caratteristici, decisamente aciduli e talvolta - quando la pasta acida è abbondante - molto marcati, che fanno del pane a lievitazione acida un pane unico, tipico, riconoscibile. Anche inimitabile, perché ogni pasta madre, per via della casualità biologica-ecologica delle colonie di lieviti in quella data zona, e delle particolari condizioni igieniche della lavorazione, è unica, inimitabile. 
      Questo lievito va benissimo per il pane, ma poiché è di lunga, laboriosa e aleatoria preparazione, si adatta e vale la pensa usarlo con farine integrali ricche di sapore e proprietà, tanto più se di pregio. Ma poiché i suoi microrganismi sono delle specie più disparate, ha un molto minore potere lievitante, e perciò fa il pane più basso (se la pagnotta si cuoce nel forno da sola tenderà ad allargarsi "a focaccia alta"), e con caratteristici buchi piccoli o piccolissimi. Facciamocene una ragione. 
      Il lievito a pasta acida selvaggia è di tale complessa e lenta realizzazione che una volta fatto, stabilizzato e maturato conviene conservarlo e tramandarlo ad altri, e così grazie ai continui “rinfreschi” (cioè aggiunte di acqua e farina a ogni panificazione per rivitalizzarlo) si trasforma di continuo, pane dopo pane. Ma anche se fioriscono leggende su colonie di pasta madre durate anni o decenni, prudenza igienica vorrebbe che dopo qualche mese, magari approfittando di un momento in cui il lievito ci sempre troppo debole o l'impasto ha acquistato odore di muffa, la pasta madre fosse periodicamente ricostituita da zero, anche perché non sappiamo mai quali microrganismi ci sono, e invece sappiamo che potrebbero esserci anche batteri, spore o funghi, tra i tanti invisibili che galleggiano nell'aria, e anche se una pericolosità diretta sembra improbabile (le grosse pagnotte si cuociono esternamente anche a 200°C, ma il nucleo o "pulcino" a temperature anche inferiori a 100°C), l'accozzaglia di microrganismi potrebbe danneggiare quelli utili a vantaggio di quelli meno utili. 
      La pasta madre, infatti, a differenza del cugino lievito di birra, microbiologicamente non è composta di soli lieviti, anzi, la componente di gran lunga maggiore è costituita da diverse specie di batteri, tra cui i batteri lattici, che possono essere anche centinaia di volte più abbondanti dei lieviti. Ma in assenza di una analisi non si sa quali sono esattamente in ogni colonia, perché - ripetiamo - a differenza del lievito di birra, ogni pasta madre è diversa dalle altre, cioè ha una sua propria composizione, in batteri lattici, lieviti, zuccheri semplici, amminoacidi, acidi grassi (**). Questo tipo di lievito selvaggio è tipicamente a lievitazione lenta. Che, attenzione, giova ripeterlo, non vuol dire "più naturale", né più sano o protettivo di per sé, se la farina, che è l'unico ingrediente del pane che ha proprietà nutrizionali, non è integrale e di qualità.

2. Lieviti chimici sono costituiti non da microrganismi viventi come i lieviti di birra e a pasta acida, ma da pure sostanze chimiche inorganiche (bicarbonato di sodio, cremore di tartaro cioè tartarato acido di potassio, carbonato di ammonio, fosfato di calcio ecc.) che non "digeriscono" l’amido come fanno quelli biologici, ma reagiscono chimicamente tra di loro producendo ugualmente - anzi, in modo più prevedibile e in misura più abbondante - il gas anidride carbonica che alleggerisce l'impasto del pane, oltre a un inevitabile residuo chimico, più o meno innocuo. Sono usati in casa, in pasticcerie artigianali e dall’industria per realizzare dolci di farina da far lievitare rapidamente, mai per il pane (anche perché lasciano un certo sapore di bicarbonato). Questi lieviti, che in commercio si presentano in polveri confezionate in bustine o in barattoli, sono tipicamente a lievitazione rapidissima (anche 10-15 min). Ed è meglio dimenticarli! Non usiamoli mai, neanche per i dolci, anche se stupidamente richiesti da qualche ricetta. Al loro posto, semmai, il lievito di birra.

IL LIEVITO A PASTA ACIDA. Abbiamo detto che, cercando di mettere d'accordo la sua conservazione con una buona igiene ambientale e personale, evitando per quanto possibile la presenza di virus e batteri estranei, ogni lievito a pasta madre o acida ha inevitabilmente una "sua" composizione microbiologica, sempre diversa nel tempo e nello spazio, che vuol dire anche un sapore diverso per ogni pane; a differenza del lievito naturale standardizzato o di birra, sempre uguale in ogni parte del mondo (**). Produrrà a partire da amido e zuccheri presenti nella farina, decine di sostanze chimiche naturali, tra cui acidi acetico e lattico, alcoli ed eteri aromatici, e altre decine di sostanze che danno ad ogni pane, ad ogni pizza cresciuta, ad ogni dolce di farina, quel di più unico e irripetibile di sapore e odore inconfondibili. Insomma, l'impasto del pane è modificato biochimicamente più dal lievito a pasta madre che da quello di birra, e più da quello di birra che da quello chimico. Ma è proprio in quelle modifiche biochimiche, organolettiche e anche nutrizionali che consiste la superiorità d’un impasto con lievito a pasta acida su quello col lievito di birra, e a sua volta la superiorità d’un impasto con lievito di birra su quello con lievito chimico. Per di più, ripetiamo, i lieviti chimici, quando non si tratta solo di bicarbonato e acido tartarico, innocui (però, se la lievitazione non è perfetta, resta il sapore del bicarbonato…), ma di sali ammoniacali e benzoici, oltre a lasciare un cattivo sapore potrebbero essere dannosi. Oggi il lievito a pasta acida è poco usato in casa e nell’industria perché è un lievito poco potente (a meno che non si perda del tempo con diversi “rinfreschi” o re-impasti preliminari) ed è un lievito lento (8-12 ore o più). Perciò è riservato a produzioni speciali casalinghe (“il buon pane scuro e saporito d’un tempo”) e perfino industriali-tradizionali (p.es. il migliore panettone di Natale: peccato che il panettone sia sempre di farina raffinata e pieno di zucchero, grassi, aromi artificiali e conservanti).

Come si inizia la coltura del lievito a pasta acida? I nostri Antenati Greci, Etruschi e Romani a lungo fecero il pane molto basso e non lievitato, come una piadina dura e croccante che si conservava per mesi. Per iniziare il lievito a pasta acida non avendo i panetti di lievito di birra selezionato, facevano un semplice impasto di farina e mosto fresco d’uva al tempo della vendemmia (quindi la pasta madre all’inizio poteva essere anche bruna-rossiccia), e poi dopo ogni impasto conservavano sempre nella madia un pezzo della pasta cruda precedente alimentandola ad ogni impasto con nuova farina. Ma spesso, mancando i frigoriferi e non conoscendo l’igiene, la facevano ammuffire, rovinando così sapore e perfino salubrità del pane. E oggi? Oggi si può iniziare in due modi: a partire da un impasto di farina con lievito di birra (consigliato) con cui si fa il primo pane, o impastando solo farina e acqua e lasciando fare per vari giorni ai lieviti selvaggi (tempi lunghi, risultato aleatorio, rischio di lievitazione debolissima o sapore di muffa: sconsigliato, se non ai bravissimi Robinson). In ogni caso si parte da un pugno di impasto fresco e crudo di farina e acqua per fare il pane, preso prima di infornarlo, lasciato fermentare per giorni e pressato, e dopo alcuni giorni conservato in frigo. Alla fine questo lievito a pasta acida sarà durissimo, e si presenterà come una pagnottella secca incavata dal forte e cattivo odore caratteristico, che prima di essere usata va sbriciolata, ammorbidita, sciolta senza grumi in acqua tiepida, e fatta di nuovo fermentare, cioè rivitalizzata, con l’aggiunta di nuova farina. Questo processo di rivitalizzazione va fatto 1 volta (fornai dilettanti mediocri e impazienti, come chi scrive, che si accontentano o si beano d’una pagnotta poco lievitata, bassa e molto acida e aromatica), meglio 2 volte, meglio ancora 3 volte e più (fornai professionisti, o dilettanti con molto tempo a disposizione e perfezionisti, che vogliono una pagnotta più alta, più lievitata, più soffice e meno acida e meno aromatica). Questo processo preparatorio di rivitalizzazione, per lo più compiuto dal Tempo (ma lo sminuzzamento iniziale coinvolge anche il fornaio), a farlo bene può prendere complessivamente da poche ore a un intero giorno, prima ancora della lievitazione. Il lievito a pasta madre, per le complesse modificazioni enzimatiche, tanto più se se ne usa tanto sapendo che è debole e non ci piace fare i vari reimpasti, o è molto acido, scurisce il pane, oltre a dargli un caratteristico odore forte e un sapore acidulo, tipici del buon pane naturale antico. Diciamo che c’è chi usa la pasta madre con una sola rivitalizzazione, proprio perché così il pane risulta più ammassato, certo, ma più forte e acidulo, sapore che piace molto (ricorda vagamente la pizza napoletana… già condita di pomodoro!).

IL BUON PANE NATURALE INTEGRALE. E I FITATI? FANNO PIU’ BENE CHE MALE. Usando il lievito a pasta madre per fare il pane, quindi impegnando un po’ del nostro tempo per un procedimento laborioso e delicato, in vista d’un pane eccellente, sano o almeno non comune, approfittiamo per usare solo ottima farina integrale di grano tenero. Va bene qualsiasi farina integrale, anche non biologica. Se no, non vale davvero la pena: è tempo sprecato. Anche per il gusto.  E’ assurdo perdere tanto tempo, pazienza e cautele per fare il pane in casa con la pasta madre usando la… farina 00 o 0 del supermercato, farine artificiali perché raffinate e devitalizzate, cioè private di tutti gli elementi protettivi e di gusto offerti dalla Natura. Infatti, la pasta madre aggiunge sapore e odore, ma non può certo aggiungere ad una farina raffinata il germe con gli acidi grassi protettivi, la vitamina E, i polifenoli antiossidanti, le fibre solubili e insolubili, i sali minerali, le vitamine B come tiamina, riboflavina, niacina, piridossina ecc. Del resto, non è solo la Tradizione, ma anche la Scienza moderna che prescrive di tornare ai cereali integrali. Quindi, sia il lievito madre, sia il monte di farina con cui faremo il pane, devono essere tassativamente di farina integrale di grano (tenero, meglio che duro, perché più lavorabile). Gli Antichi quando scoprirono il grano tenero Triticum aestivum, che sembra fatto apposta per fare il pane, abbandonarono subito il T. monococcum (farricello) e T. dicoccum (farro). E non mescolate le farine più strane, com’è di moda oggi: i “5 cereali” sono solo un trucco di marketing per raddoppiare il prezzo. In realtà, la qualità del pane può solo peggiorare, mentre il costo può solo aumentare. Se c’è una cosa che il pane, che è stato il primo fast food di pastori, contadini, soldati e operai, non sopporta è lo snobismo. Mettetevi in testa che fare il pane non è un’azione narcisistica, raffinata, aristocratica o elegante. Se poi, sotto sotto, invece del semplice pane vorreste preparare un dolce o una torta rustica, ebbene, fateli, ma a parte: non mettete nel pane qualunque cosa. Sarebbe un truccare le carte: chiamare “pane” un prodotto di pasticceria o rosticceria. Oltretutto, se il “pane” è condito in modo fantasioso da olive, noci, uvetta, fichi secchi, olio, miele ecc. (cosa che già gli Antichi facevano), vuol dire che il pane… non vi piace più: siete solo molto golosi. E il pane condito si fa mangiare molto più spesso e dà più calorie: due motivi per ingrassare! Il pane serve solo per accompagnare i cibi, non è un cibo-base. Quindi fatelo più spartano che potete: farina integrale di grano tenero, acqua, lievito, sale.
Alcune lettrici molto influenzabili, terrorizzate dopo aver letto testi di medici o igienisti di 100 anni fa, oppure opuscoli o siti web arretrati e poco scientifici, sono preoccupate dei fitati (o acido fitico, o fitina) presenti in tutti i cereali integrali e perciò anche nel pane integrale, perché riducono il valore nutrizionale degli alimenti, l’assimilazione di minerali e nutrienti (calcio, fosforo, ferro ecc.). Vero, ma parafrasando la celebre battuta del giornalista del film-culto, “è la Natura, bellezza!” Che ci vogliamo fare? Vogliamo cambiare, raffinare gli alimenti, renderli artificiali? Questo è proprio quello che sta facendo l’industria, rispondendo alla domanda della gente stupida! Ma per fortuna la Natura provvede e vince sempre sull’ottusità degli uomini. Infatti…

1. I fitati sono notevolmente ridotti proprio dalla lunga lievitazione (8-12 ore) a pasta acida. E più lunga è, meglio è. Quindi, per ridurre i fitati non basta aggiungere lievito madre all’impasto di una piadina o pizza e infornare subito, ma bisogna compiere tutta la lievitazione.
2. Ma i fitati non devono essere eliminati, perché sono potenti anti-cancro e anti-lipidi. Sono una caratteristica fondamentale dell’alimentazione sana e naturale, che vuole soprattutto la completezza del cibo. E’ una contraddizione volere il cibo completo e naturale, e poi eliminare i fitati. E' il luogo comune n.72 nella lista di 80 “leggende metropolitane” più comuni, come quella della “frutta lontano dai pasti” (vedi colonnino). Perché i fitati, come altre sostanze extra-nutrizionali tipiche degli alimenti naturali (saponine, polifenoli, fibre ecc), per il medesimo meccanismo d’azione per cui sono antinutrienti sono anche potenti anti-colesterolo, anti-grassi, anti-diabete e anti-cancro. E sono antiossidanti. E’ stato dimostrato che, in caso di cancro, sono addirittura anti-proliferativi. E’ sufficiente? Quindi, evviva il buon pane integrale fatto in casa col lievito a pasta acida e le saporite farine integrali, sane, meno caloriche, meno assimilabili (per fortuna), anti-stitichezza, anti-obesità e preventive delle principali malattie di oggi.

SI VENDE ANCHE IL LIEVITO ACIDO (“PASTA MADRE”) LIOFILIZZATO, CIOE’ ESSICCATO. MA… Per i pigri, e i “vorrei, ma non posso”, il mercato mette a disposizione anche il lievito a pasta madre in polvere, liofilizzato (che vuol dire solo disidratato a bassa temperatura). Si trova nelle botteghe di alimentazione naturale o bio. Può andar benino per iniziare la coltura in certi casi, ma a me è sembrato che dà origine ad una coltura troppo debole. Vero è, però, che ce ne sono vari tipi, di marche diverse. Ma ho provato diverse volte e mi è sembrato che non venga così bene (su questo, però, accetto opinioni contrarie) come quello iniziato da me col classico panetto di lievito di birra fresco. Provate con due bustine al posto di una! Il mio parere? Anche per ragioni psicologiche e di relax (se uno ha fretta, non faccia la pasta madre!) è molto meglio farselo da sé il lievito a pasta acida, anche perché è sempre diverso a seconda di chi lo fa, a seconda della farina, dell'acqua e dei lieviti presenti in quella zona o stagione, e dunque acquista quel tocco personale e irripetibile che ci gratifica con la nostra “creazione” e ci permette di fare un pane "tutto nostro", diverso da qualunque altro sulla faccia della Terra, in cui c'è qualcosa della nostra personalità.

PROVIAMO A FARE IN CASA UN LIEVITO “DEL TUTTO” SELVAGGIO: PERO’ E’ DIFFICILE, VUOLE MOLTI GIORNI O MESI, E VIENE DEBOLE. Come accennato, il lievito a pasta madre puramente selvaggio consiste in un impasto molle di acqua e farina di frumento integrale lasciato fermentare per vari giorni: viene colonizzato da una complessa flora di microrganismi, lieviti della farina stessa e batteri presenti nell’ambiente (comprese mani e utensili), finché non acquista un caratteristico e forte odore acido. Non seguite le solite ricettine delle signore snob-alternative, del tutto moderne e di origine inglese-americana, che imperversano su internet e sui libri di ricette, che prescrivono l’aggiunta, per “velocizzare” il processo selvaggio, di miele, melassa, zucchero di canna, di malto, di acero ecc.  Secondo voi, le massaie etrusche e romane sprecavano il rarissimo e prezioso miele per darlo in pasto ai fermenti? Ne avremmo come minimo testimonianza nei libri di agricoltura e alimentazione di Columella, Catone, o nel poemetto Moretum dello pseudo-Virgilio. Invece, non ce n’è traccia. Gli Antichi, e fino alle nostre nonne, non erano stupidi e snob: il miele se lo gustavano al naturale, e per il lievito selvaggio delle origini usavano soltanto farina e acqua, poi arrivato il vino aggiunsero alla farina il mosto, cioè il vino appena spremuto, ma per i suoi fermenti, non per il suo zucchero. Lo stesso, durante la vendemmia, possiamo fare noi: una pasta madre fatta di farina intrisa di mosto d’uva (l’uva deve essere da vino, non da tavola!) appena spremuta. La stessa acidità, dovuta a fermenti acidofili, se è abbastanza forte, preserva la pasta madre dai batteri dannosi. Che se anche dovessero esserci, verranno comunque distrutti dalla cottura del pane a 200°C. Ma se qualcosa va male e l’acidità è debole, il rischio della muffa (muffe bianche, gialle-brune e verdi-azzurre) è reale. In questo caso il panetto di pasta madre va gettato via.
Se invece tutto va bene, e avrete avuto cura di far rassodare a poco a poco l’impasto in un panetto, che avrà all’interno un colore giallognolo-grigiastro e un forte odore di lievito o vagamente ammoniacale (per sentirlo dovete avvicinare il naso a 1 cm.), la pasta acida potrebbe cominciare ad essere attiva come lievito, cioè  capace di far fermentare a sua volta – ma più lentamente della pasta madre fatta a partire dal lievito di birra, e molto più lentamente del solo lievito di birra – anche un’intera pesante pagnotta rendendola un po’ più voluminosa, e a cottura ultimata piena di piccolissimi buchi (più piccoli di quelli del lievito di birra), e quindi avremo un pane compatto, certo, e pesante sulle mani, ma certamente più soffice, masticabile, saporito e digeribile che se non avessimo usato nessun lievito.

LA STORIA DELLE AGGIUNTE DEI FERMENTI. Ma gli Antichi scoprirono subito che il solo impasto di acqua e farina (lievito selvaggio, propriamente detto) tardava a dare un buon lievito, che poteva facilmente ammuffire, che bisognava aspettare troppi giorni, e che ci volevano alcune "generazioni” di pani per renderlo sempre più potente. E nel frattempo poteva andare a male e dare un sapore cattivo, con perdita della preziosa materia prima (gli Antichi erano deboli in igiene: ignoravano l’esistenza dei microbi). Così, per accelerare il processo naturale spontaneo di fermentazione, aggiunsero alla farina tutti i fermenti naturali che avevano, in funzione di "starter" (avviamento): mosto d’uva fresco durante la vendemmia, latte acido fermentato da lactobacilli (yogurt diremmo oggi), oppure succhi di frutti fermentati per il sidro (mele, pere ecc), residui dell’orzo maltato della birra. Non avevano ancora la coltura pura e potente di lieviti naturali selezionati del nostro lievito di birra (inventato nell'800 coltivando i saccaromiceti della birra). Ma avevano trovato il modo di iniziare la coltura del lievito acido in modo più potente e sicuro. Dopodiché, la coltura proseguiva e si rafforzava, di impasto in impasto, passando – allora, sì, era indispensabile – di mano in mano. Ma così, aumentavano anche i rischi igienici, per quanto deboli. Quindi già gli Antichi Etruschi, Romani, Greci, Egizi e Galli erano in grado di produrre e conservare come lievito una pasta madre non più puramente selvaggia, ma mista, cioè in parte addomesticata e potenziata da fermenti noti per la loro forza (mosto, birra, latte acido ecc).

MA NOI MODERNI LO STARTER POTENTE E SANO LO ABBIAMO: E’ IL LIEVITO DI BIRRA. A differenza degli Antichi noi moderni siamo fanatici dell’igiene, e oggi perfino noi, anzi, proprio noi naturisti, siamo in allarme se un familiare ha l’influenza o qualcuno starnutisce, o una mosca si posa sul bordo della tazza del lievito, mentre facciamo la pasta madre o lo yogurt. Perché sono colture molto sensibili ai microrganismi in quanto devono essere lasciate alla pericolosa e critica temperatura ambiente e in locali non certo sterili come le nostre cucine. E allora, per fare una buona pasta madre meglio partire da una colonia di fermenti, naturale sì, ma selezionata e sicura igienicamente: il lievito di birra. In sostanza sceglieremo il terzo, il più affidabile, dei tre metodi naturali qui di seguito descritti, tutti ugualmente sani, ma solo l'ultimo senza rischi. 

. 1. Pasta madre della tradizione arcaica, prima dell'invenzione del vino e della birra. La pasta madre era fatta solo di farina integrale e acqua. E naturalmente per avere un lievito sufficientemente forte si aspettava a lungo che casualmente le molte specie di lieviti selvaggi della farina e i batteri presenti nell’ambiente, sulle mani o sugli oggetti la colonizzassero, con qualche piccolo rischio di cattivo sapore, indurimento eccessivo, ammuffimento o lievitazione troppo lenta e modesta.

2. Pasta madre della tradizione antica (Egizi, Etruschi, Romani e poi fino all'800). L'impasto di farina e acqua veniva ben indirizzato e accelerato in partenza aggiungendovi subito come potente starter il mosto di vino o di birra. Nel pezzo di pasta cruda conservato poi come futura pasta madre si sviluppava spontaneamente la colonia dei lieviti selvaggi già presenti nella farina, con l’aggiunta dei batteri dell’ambiente. E il pane veniva sempre più buono, saporito e ricco, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana. Insomma, la pasta madre si arricchiva di lieviti man mano che passava il tempo. C'era, però, qualche rischio di igiene e di colorazione indesiderata della pasta.
3. Pasta madre della tradizione moderna. E' il perfezionamento del metodo antico. Anziché con farina integrale, acqua e mosto di vino o di birra, il primo impasto si fa con farina integrale, acqua e lievito di birra, cioè con i saccaromiceti presenti naturalmente nel mosto di birra allevati in massa. Insomma, un'ottima mediazione tra naturalità e sicurezza, che dà veri e prolungati vantaggi.

Il consiglio, dunque, è di fare il primo pane col dignitoso, non eccelso, ma sicuro lievito di birra, colonia selezionata di Saccharomyces cerevisiae. Questo permette di partire benissimo con una lievitazione insieme forte e naturale. Certo, bisogna dare per scontato che il primo pane non sarà eccezionale (migliore, però, di quello finto integrale che acquistiamo malvolentieri dal fornaio, se la farina è davvero integrale). Per rendere migliore sapore e aroma di questo primo pane propedeutico che serve in realtà per ricavarne la prima coltura di pasta acida, aggiungete all’impasto fatto col lievito di birra qualche cucchiaio di aceto. Ma, per carità, non ditelo a nessuno: non si è mai letto, detto o sentito da nessuna parte. E’ un mio trucco personale, e se lo sa mia nonna Vittoria si rivolta nella tomba. Come l’ho scoperto? Semplice: studiando i composti chimici che si formano nel buon pane: ci sono anche eteri e acidi acetici.

Ma poi – a partire dalla seconda o terza panificazione – la pasta madre ben conservata e rinnovata sarà sempre più ricca di lieviti selvaggi e migliorerà sempre di più, fino a stabilizzarsi in un compatto impasto (vagamente bianco rosato all’interno: è questa la parte più vitale) per durare mesi. Dopodiché, contro le tante leggende assurde (colture “secolari” o “millenarie” tramandate di madre in figlia…) la coltura del lievito a pasta acida, che è delicatissima e si rovina per un nonnulla, tenderà a decadere, a indebolirsi o a degradarsi (muffe all’esterno o all’interno, cattivo odore). E quando vedrete che, anche senza degradarsi visivamente, la pasta madre fa lievitare troppo poco il pane, bisogna rifarla da capo, da zero.
All'inizio, quindi, solo per il vostro primo pane della serie, un lievito così pulito, educato, poco puzzolente e "perbene", darà al pane un sapore neutro. Perché ha una sola specie di saccaromiceti, e perché questa è così potente da tenere a bada la prima volta gli altri lieviti, e produce molta gas anidride carbonica (quello che fa lievitare meccanicamente in modo vistoso una pagnotta in appena 1 ora). A me, sinceramente, non piace il "primo pane" che faccio. E' sicuramente sano ma è insipido. Ma a partire dalla seconda e soprattutto terza panificazione, tutto cambia, e il mio quarto pane è davvero perfetto.

PARTIRE DAL LIEVITO DI BIRRA E ARRIVARE ALLA PASTA MADRE. Il compromesso migliore tra igiene, gusto, naturalità e prevenzione, è invece fare come facevano gli Antichi che aggiungevano i loro fermenti a quelli casualmente presenti  - ma loro non lo sapevano – nella farina, sugli oggetti, sulle mani e nell’ambiente circostante. Partire dal lievito di birra (yogurt e mosto non sono più naturali, solo più deboli), per lasciarlo fermentare a vuoto con acqua e farina, oppure usarlo direttamente per una prima pagnotta di pane "starter", e poi al successivo impasto ritrovarsi con sorpresa la potente pasta madre rinforzata e insaporita di molti altri lieviti selvaggi e batteri. Inutile dire che partire in questo modo naturale ma potente assicura il successo ai fornai principianti (cioè a tutti noi), galvanizza psicologicamente, evita rischi igienici, e soprattutto fa durare molto più a lungo la coltura.

RICETTA DELLA PASTA MADRE INIZIALE. Esistono tre soluzioni teoriche su come iniziare, ma una sola è praticabile:
A. Lievito selvaggio. E’ la avventurosa “soluzione arcaica e fondamentalista”. Partite da zero, fingendo neanche di essere una casalinga etrusca nella sua fattoria isolata, perché quella almeno il mosto di vino per iniziare il lievito madre doveva averlo. Troppo “moderna” per voi. No, fingete di essere in una caverna, capanna o palafitta Villanoviana, comunque parecchi millenni prima della cultura del vino. Avrete a disposizione, insomma, solo i lieviti presenti nella farina e i batteri delle vostre mani sporche o portati dalle mosche. Tutto bene, signora Robinson. Però, poi, per un minimo di coerenza devi cuocere stendendo la piadina sopra una pietra arroventata, altro che forno a legna o tantomeno a gas o elettrico… Però, così – dice – “si sa quello che si mangia”. E no, proprio questo è il punto: che ne sappiamo quali lieviti e batteri sono presenti in quella zona? Così non sapremo mai quello che c’è davvero, biologicamente, nel nostro pane. Comunque, in tal caso è facilissimo: basta lasciar inacidire un impasto di farina integrale e acqua, assolutamente senza sale. Ci vorranno molti giorni e molte cure, compreso ad un certo momento l’avvolgimento in una pezzuola umida, prima che il panetto sia diventato così puzzolente da acquistare potere lievitante. Ma più facilmente potrebbe ammuffire, e dovrete gettarlo via. E comunque, ammesso che vada a finire bene, potrebbe risultare un lievito molto debole. Gli Antichi non sono un esempio di ottimi lievitatori: erano abituati al pane non lievitato, duro come gallette o piadine. Sarà una soluzione di vera “ricostruzione antropologica”, ma non ve la consiglio. Ah, dimenticato: vietato fare i furbi e aggiungere sostanze estranee che i trogloditi non avevano o non sprecavano certo nel pane, ammesso e non concesso che lo facessero (zucchero, miele, succo d’acero, melassa, yogurt e altre moderne fantasie eccentriche e molto snob). Questa romantica tecnica Robinson, semmai, la praticherete quando sarete diventate bravissime, vecchie e sagge. Ma ancora con tutti i denti, per poter masticare il duro pane poco lievitato. Sconsigliato.

B. Lievito maturo regalato da amiche. E’ la soluzione “sociale”, tipica dei paesini d’una volta e ora delle feste di quartiere tipo “Pasta Madre Day” (che però fanno la pasta acida e il relativo pane con… la farina bianca raffinata!). Mia nonna Vittoria, a Graffignano, nella valle Tiberina al confine con l’Umbria, accorgendosi di aver finito la pasta madre andava dalla vicina a chiederne un pezzo. Un giorno tu a me, un altro io a te. Ma quelle donne erano bravissime a far fruttare anche piccoli pezzi di pasta madre, grazie alle doppie e perfino triple lievitazioni. Infatti, decenni dopo, ormai vecchia, vedendomi usare un grosso pugno di pasta madre per una sola pagnotta, l’anziana donna non seppe trattenersi, e disse che lei con quella quantità, da giovane, ne faceva dieci, di pagnotte, non una sola! Un vero schiaffo morale. E dire che a me, a stento, veniva benino con tanto lievito (…perché per la fretta moderna e cittadina rifiutavo perfino l’idea di fare 2 o 3 lievitazioni, cioè rimpasti, come avrei dovuto!). E poi oggi in città chi mai dei vostri vicini avrà una coltura di lievito madre? E non parliamo dell’igiene! Non fatevi regalare un pezzo di pasta madre da sconosciuti: l’igiene è una cosa seria e il pane è una cosa personale. So che mia nonna mi disapprova, ma tant’è: siamo diventati schifiltosi. Sconsigliato tranne in emergenza.

C. Lievito di birra. E’ la soluzione igienica, pulita, pratica, potente, sicura, e ancora naturale. Insomma, fate fare da starter alla sola colonia di potenti lieviti Saccharomyces del classico panetto di lievito di birra: è l’uovo di Colombo. Bastano 2 panetti di lievito di birra fresco (supermercato, zona frigo) o 2 bustine di lievito di birra liofilizzato bio (negozi del naturale) per 1 kg di farina, che darà circa 1,400 kg di pane cotto. Attenzione a non scambiare per lievito di birra liofilizzato il lievito chimico in polvere per dolci o tipo Bertolini (bicarbonato, cremore di tartaro o sali ammoniacali).
Sciogliere bene 2 panetti di lievito di birra in una tazza di acqua tiepida (30°C circa, oltre i 40°C cominciano a morire alcuni microrganismi) e non clorata. L'ipoclorito aggiunto di notte negli acquedotti uccide parte dei lieviti: usare perciò acqua pura, anche minerale, riscaldandola appena. Finché non siete pratici delle temperature, un termometro (sterilizzato con candeggina e poi sciacquato bene sotto il rubinetto, senza toccare con le dita la parte che si immerge) non guasterà.
Appena il liquido della tazza comincia a fermentare (ma la cosa, attenzione, può essere impercettibile) versate in un cratere di farina e impastate. In un cratere a lato, a parte, impastare l’altra farina con acqua e il sale voluto. Infatti è bene che il sale non entri direttamente in contatto col lievito vitalizzato: ne limita e prolunga la lievitazione.
Uniti i due impasti, si continua a lavorare col caratteristico sistema del trascinamento e della slabbratura della pasta, alternato alle classiche ripiegature su se stessa e alle compressioni.
Alla fine dell’impasto togliere un pugno di pasta, appallottolarla, comprimerla in una tazza di farina, coprirla di farina e lasciarla per 2-3 o 4 giorni in un armadio a temperatura normale. Ogni giorno comprimerla un poco e ricoprirla di farina. Quando non crescerà più e avrà un odore forte caratteristico, ecco che la pasta madre, in questo caso la prima pasta madre, sarà pronta. D’ora in poi verrà usata come il normale lievito (ma a differenza di quello "di birra", dopo averla rivitalizzata ogni volta, come si spiega più avanti).


COME CONSERVARE LA PASTA MADRE. Ma il pane non si fa e non si è mai fatto ogni giorno, neanche nell’Antichità. A seconda del numero di familiari, lo si preparava ogni settimana o 2 settimane o un mese. In montagna e nei Paesi del Nord lo si faceva addirittura dopo il raccolto dei cereali, una volta l’anno, ed era poi essiccato e conservato.
Perciò si è sempre posto il problema di come conservare il lievito a pasta acida accantonato per la panificazione successiva, e come riutilizzarlo poco prima di fare il pane, visto che nel frattempo diventa duro o con la crosta, o potrebbe aver perso una parte del potere lievitante. Gli Antichi conservavano la palla del lievito letteralmente immersa nella farina della madia. Noi non abbiamo così tanta farina a disposizione e soprattutto consideriamo quel metodo anti-igienico, perché poteva trasmettere all’intera scorta annuale di farina lieviti e muffe.

1. Noi ci limiteremo a cospargere accuratamente la palla di lievito di farina, ma dentro una coppa o tazza ben pulita e coperta non a tenuta d’aria. Dopo 1 giorno di conservazione la pasta madre accantonata la troverete “esplosa”, cioè lievitata. Va compressa con le mani per far fuoriuscire il gas e ricompattare i buchi interni che potrebbero farla seccare, e va cosparsa ovunque di abbondante farina. Dopo 3-4 e più giorni di maturazione a temperatura ambiente in luogo riparato (p.es. nell’armadio della cucina), la pasta madre comincia a emettere il caratteristico odore di etere e ammoniaca. Buon segno, vuol dire che la fermentazione sta avvenendo. La pasta madre va compressa con le mani in modo da eliminare le ultime sacche di gas, e va ben cosparsa ogni giorno di farina, sopra, sotto e ai lati, ad evitare che formi aree troppo umide dove potrebbero svilupparsi muffe (che lascerebbero caratteristico odore e farebbero gettar via la pasta madre). Così si riesce a conservarla, sempre col suo caratteristico odore etereo-ammoniacale, anche per 10-15 gg. Pronta immediatamente per essere riutilizzata, dopo opportuna rivitalizzazione impastandola con acqua e farina, per il prossimo pane.

2. Se invece volete evitare queste cure quotidiane o avete intenzione di fare il prossimo pane solo alcune settimane dopo, è consigliabile conservarla in frigorifero ben cosparsa di farina, chiusa in busta di carta a sua volta ben protetta dall’umidità del frigorifero (attenzione: se penetra nell’involucro favorisce le muffe) da una busta di plastica a tenuta o da un recipiente di vetro ermetico. Il freddo blocca l’attività di saccaromiceti e batteri, ma non li uccide. E quando servirà, sarà sempre possibile rivitalizzare il lievito refrigerato, anche se dopo la permanenza in frigorifero la rivitalizzazione del lievito sarà più lunga.

3. In casi estremi (lunga vacanza, decisione di non fare più il pane per mesi, magari per una dieta restrittiva ecc.), perché gettare la ottima pasta madre? Può benissimo essere conservata, imballata ermeticamente come per il frigorifero, in congelatore (il cosiddetto freezer) a bassissima temperatura. Dove, meraviglia, resiste per anni, sempre pronta a riprendere la propria vitalità. Confesso che l’anno scorso “trovai” in fondo al freezer un panetto di pasta madre sigillato nel cellophan, dimenticato 2 o 3 anni prima. Dopo la rivitalizzazione, ovviamente laboriosa perché era durissimo, si è rivelato perfetto, anzi, più maturo e forte della pasta madre che stavo usando allora, cosicché l’ho usato per il pane successivo, che è venuto benissimo.

RIVITALIZZARE LA PASTA MADRE: I RINFRESCO. Si lascia rammollire in acqua appena tiepida per almeno mezz’ora o più il panetto duro di pasta madre tolto dal freezer, dopodiché lo si sminuzza in poltiglia tagliuzzandolo nell’acqua con un coltello e schiacciando i grumi con una forchetta. Amalgamare e girare bene la poltiglia che dovrà essere uniforme e senza grumi. Se ci sono ancora grumi, attendere ancora. Quando si ottiene una crema omogenea aggiungere 2-4 cucchiai di farina integrale, presa dalla confezione di 1 kg destinata al pane. Mescolare bene e riporre la ciotola in una coppa più grande (cautela nel caso che per troppo lievito o troppa farina il lievito fermentando fuoriesca).

II RINFRESCO.  4-8 ore o più dopo il I Rinfresco (quanto tempo dipende dal grado di forza del panetto di pasta madre, dalla quantità di farina aggiunta, dalla temperatura) la pasta fluida sarà fermentata, cresciuta circa del doppio e se la tazza è piccola tenderà a fuoriuscire dalla tazza. Con una forchetta rimescolate, aggiungete 1-2 cucchiai della farina destinata al pane, e amalgamate bene.

III RINFRESCO. 2-4 ore o più dopo il II Rinfresco la pasta fluida sarà fermentata di nuovo, spesso in modo molto appariscente. Bene: la pasta madre attiva è pronta. Potete iniziare a fare il pane.
SEQUENZA DEI TEMPI: DALLA PASTA MADRE DURA AL PANE. Decidere il giorno e l’ora X in cui si infornerà il pane. Mettiamo per ipotesi il sabato mattina. Se così è, ipotizziamo i seguenti tempi di massima (parlo della mia esperienza). Esempio:
1. Giovedi sera dopo cena tirar fuori dalla credenza (se è stata conservata per pochi giorni), dal frigo (se è stata riposta per più giorni) o dal freezer (dove è stata riposta per 1 settimana o più) la pasta madre dura e infarinata e, dopo aver controllato che non sia ammuffita iniziare con il I Rinfresco.
2. Venerdi mattina prima di colazione constatare lo stato di fermentazione e procedere con il II Rinfresco.
3. Venerdi pomeriggio dopo pranzo procedere col III Rinfresco.
4. Venerdi sera, dopo cena, accertata l’ottima fermentazione della pasta madre, procedere con l’impasto del pane, utilizzando la farina residua. Cospargere la pagnotta di farina adagiarla con delicatezza su una mattonella di gres da pavimento 30 x 30 interponendo un foglio di carta antiaderente oppure farina, semola o crusca, coprite con un telo pulito, poi con un panno di lana per evitare sbalzi di temperatura, e lasciate nel forno spento per tutta la notte. In cucina non ci devono essere spifferi o freddo o finestre aperte. Più è tiepido l’ambiente, meglio è.
5. Sabato mattina, 6-10 ore dopo aver dato forma al pane (il tempo dipende dalla forza della pasta madre e dalla temperatura), constatata la lievitazione (si vede dalla sfrangiatura dei bordi) e la crescita in alto della pagnotta cruda (se l’impasto era della giusta consistenza) o l’allargamento (se l’impasto era troppo morbido), senza nessuna “seconda lievitazione” (si chiama così il sommario rimpasto o smaneggiamento rapido della pagnotta cruda già cresciuta) potete direttamente accendere il forno (200°) e procedere alla cottura per 60 min (pagnotta alta da 1 kg) o 50 min (pagnotta bassa). Se si vuole, una bacinella di metallo piena d’acqua posta sul piano inferiore, quello della fiamma, garantirà quell’umidità necessaria a ottenere una crosta meno dura.

SECONDA LIEVITAZIONE, TIPICA DEI FORNAI: FONDAMENTALE. Ma i veri fornai non facevano (fanno) così. La pagnotta, per quanto sia ben lievitata, va sottoposta alla cosiddetta "seconda lievitazione", che è solo un rapidissimo smaneggiamento o reimpasto che rimette in moto la residua fermentazione, spesso migliorando anche il gusto. E avendo a che fare con la pesante farina integrale e con un lievito debole come la pasta madre, in molti casi sarebbe necessaria perfino una “terza lievitazione”. Basta prendere tra le mani la pagnotta (attenzione, potrebbe essersi attaccata alla carta da forno se non avete cosparso il fondo di farina: sostituite la carta protettiva), ridandole forma di palla. Tutto questo in pochi secondi. Naturalmente, dovrete aspettare qualche mezz’ora, meglio se al calore moderato (minimo) del forno, finché la pagnotta torni a lievitarsi per la seconda volta. Se la seconda lievitazione dopo mezz'ora vi appare modesta, niente problemi: cuocete il pane a 200°C o poco più, e sarà lo stesso calore iniziale della cottura a finire la lievitazione e a sollevare la pagnotta.
Durante la cottura è vietatissimo aprire lo sportello del forno nella prima mezz’ora. E' consigliato guardare spesso dall'oblò con la luce accesa. Constaterete con piacere che la pagnotta si è un po' aperta, slabbrata o stracciata lungo i bordi o i tagli che le avrete fatto sulla parte superiore. Quando comincia ad imbrunire, dopo mezz'ora, abbassate un poco la temperatura (170-150°C),

PROBLEMI NOTI. Infiniti. Ad alcuni non piace il sapore acidulo e l'aroma forte: dipende da troppa pasta madre o troppo maturata, oppure da scarsa lievitazione o dal mancato uso del secondo rimpasto ("seconda lievitazione"). Ma per fare una pagnotta sola è quasi inevitabile che si debba usare più pasta m. del necessario: se è troppo poca, infatti, si secca troppo ed è poi difficile rivitalizzarla.
L'impasto non è cresciuto abbastanza: può dipendere da un colpo d'aria, dal freddo del locale, dal lievito ormai troppo debole. Se dipende dal freddo, accendete il forno al minimo e create un ambiente caldo: vedrete in pochi minuti la massa crescere. La pagnotta cotta non si stacca. Perché avete messo poca o nulla farina sotto e ai bordi dell'impasto (perché la pagnotta si allarga durante la lievitazione), oppure è proprio l’impasto troppo morbido o appiccicoso. La consistenza della pasta è il vero problema n.1, dipendendo dal modo e dalla durata dell'impasto, da tipi e qualità delle farine, qualità e tipo del lievito, quantità e tipo di acqua, stagione, clima, umidità dell’aria, “sfiga”, Fato, umore della signora del piano di sotto ecc), la pagnotta cotta risulterà troppo umida, ammassata, o si sarà troppo allargata a focaccia (l'antica forma del pane, dopotutto: consolatevi...), ma soprattutto non si staccherà dal gres in nessun modo, per quanta farina ci abbiate messo sotto. Fatevi furbi: anziché…imparare a fare bene il pane fate come faccio io: cospargete il fondo della pagnotta cruda di tanta crusca… Ho detto crusca, non segatura... Dopodiché il pane, bruno e ben lievitato, si toglie con l’aiuto laterale di un lungo coltello. Si rovescia e si fa raffreddare capovolto (l'ho visto fare, quand'ero piccolo - e una stranezza simile un bambino la nota subito - da mia nonna davanti al forno del paese; ma lo fa anche l'industria coi panettoni), per evitare che l’umidità della pagnotta sfornata, che dal basso sale verso l'alto, rammollisca la crosta che è più leggera e sottile del fondo.


Pane con lievito a pasta acida (NV 13 aprile 2013) picc FORME DEL PANE. Sono varie e dipendono dalla praticità e dalle tradizioni culturali antropologiche. La nostra, la tradizione etrusca-romana, vuole il pane basso, a focaccia, che è la forma atavica del primo pane lievitato (v. i reperti carbonizzati trovati nelle panetterie di Pompei). Panis quadratus, cioè con due intagli ortogonali, non perché “la Croce lo preservi dalla cattiva cottura” come credeva il superstizioso popolino cristiano, ma perché più facilmente allargabile in fase di lievitazione, e una volta cotto più divisibile in quattro per il commerciante, che poteva venderlo anche a quarti, e il consumatore. E’ normale che la pagnotta tenda ad allargarsi durante l’ultima lievitazione, tanto più se la si cuoce da sola, come accade nella cottura casalinga d’una persona singola o d’una piccola famiglia, poiché non è sorretta da altre forme di pane, come accade nei grandi forni commerciali in cui decine o centinaia di forme cuociono insieme. Quindi il pane tipico è necessariamente basso, il che facilita la cottura della mollica centrale, migliorandone molto la digeribilità, oltre a rendere più facile suddividerlo e tagliarlo a fette. La tradizione anglosassone, invece, condizionata dal grande uso del sandwich industriale che pretende tutte fette uguali, preferisce le forme in cassetta a parallelepipedo. In questo caso, grazie alle pareti di metallo (pessimo comunque l’alluminio, non usarlo), che conducono molto il calore e favoriscono le bruciature, o molto meglio di ceramica, la componente delle pressioni laterali spinge il pane ad alzarsi di più. Effetto analogo, ma minore, si ha infornando diversi filoni affiancati senza formette: si sorreggono e si alzano a vicenda. Rivedere i tempi della cottura, però.

AGGIUNTE, FISIME E STRANEZZE SNOB. Le cuoche e i libri di cucina inglesi e americani sono responsabili delle aggiunte più inutili, eccentriche e snob alla pasta madre, fuori dalle vere Tradizioni del pane naturale degli Antichi: miele, zucchero, yogurt, melassa, olio, salsa di soia ecc. Non date retta a tutte le stranezze che trovate su internet, sui libri delle cuoche dilettanti o professioniste o macrobiotiche o nei cosiddetti “corsi di panificazione”, ai curiosi "segreti" di questo o di quello, alle lungaggini complicate, ai perfezionismi virtuosistici, agli infiniti "rinfreschi" della pasta madre, gettando via addirittura una parte di farina e lievito – una pazzia – magari "per non dare al pane il sapore acidulo del lievito" (e allora si vadano a comperare il panaccio dal fornaio!), tantomeno alle aggiunte incredibili e improbabili alla pasta madre per "nutrire i fermenti", come se non bastasse l’amido della farina (zucchero, miele, melassa, vitamina C, farina bianca Manitoba, farina di soia, olio di oliva, perfino – orribile a dirsi – salsa di soia…) dei soliti siti che più dicono cose strane e complicate, più sembrano "esperti" e credibili agli inesperti. L'aggiunta di ingredienti mai usati in passato dalle nostre tradizioni o addirittura dannosi (la salsa di soia, è un pugno in un occhio, non c'entra nulla col pane, e oltretutto se la si usa spesso, è mutagenica e cancerogena), e quindi non naturali, è un trucco per intorbidare le acque e nascondere eventuali difetti.
No, la Tradizione e la Scienza dicono cose semplici ed elementari: il pane si faceva e si deve fare solo con farina integrale e acqua (e tutt’al più con poco sale). E già così è difficile. Non c’è nessun bisogno di complicazioni per "far vedere quanto si è bravi". Fare il pane è la cosa più entusiasmante che si possa fare in una cucina; ha più della Creazione che della gastronomia. E' una specie di miracolo naturista. Ma proprio per questo dipende da molte variabili. Ripeto sempre che il pane viene buono o discreto, forse, alla 3.a o 4.a volta... D’altra parte non possiamo trasformare il pane in una torta rustica o dolce. La rosticceria e la pasticceria sono un altro capitolo.

NOTE
(*) Willett WC e Stampfer MJ, La nuova piramide alimentare, Le Scienze (Scientific American, ed. it.), 414, 46-53 (febbraio 2003).
(**) Uno studio scientifico sui microrganismi presenti delle tipiche paste madri usate tradizionalmente per produrre 19 tipi tradizionali di pane in Italia, solo pochi dei quali però di farina integrale (il che incide, eccome, sulla composizione della pasta madre in batteri e lieviti), ha appurato che le composizioni sono tutte molto diverse tra loro. La variabilità è molto influenzata dal tipo di farina (grano tenero o duro, la sua provenienza, se è integrale o no aggiungiamo noi), l’ambiente stesso dei fornai, il luogo dove viene conservata la pasta madre, e altri elementi ambientali. E poi queste caratteristiche, uniche per ogni tipo di pane tradizionale a denominazione controllata, sono prima stabilizzate con una maturazione controllata, e poi sapientemente tramandate di produttore in produttore. Questo studio microbiologico, tuttavia, riesce a trarre delle concordanze. Conferma che in una pasta madre i batteri dell’acido lattico sono molto più numerosi dei lieviti: in generale in un rapporto da 100:1 a 1000:1. Tra questi batteri c’è grande bio-diversità, ma un poco più comuni sono Lactobacillus sanfranciscensis (ca. il 28% dei batteri isolati nelle paste madri dei 19 pani), L. plantarum (ca. 16%) e L. paralimentarius (ca. 14%). Tra i lieviti, il Saccharomyces cerevisiae, che è presente nel 100% del lievito di birra, è stato trovato solo nel 16% delle paste madri. Sono stati trovati anche Candida humilis, Kasachistania barnetii, K. exigua e altri (Minervini et al., Appl. Environ. Microbiol. 2012). Questo per le paste madri Doc tramandate da tempo e standardizzate. Diversa, ovviamente, cioè più imprevedibile e caotica, è la composizione di una pasta madre isolata o nuova preparata casualmente da una singola persona, tanto più con farine integrali. Questo conferma che chi si fa in casa la propria pasta madre cominciando da zero non sa quali sono i microrganismi (batteri e lieviti) presenti nel lievito. Se volesse saperlo, per curiosità scientifica, dovrebbe ogni volta pagarsi un’analisi di laboratorio di microbiologia degli alimenti.

IMMAGINE. 1. La pagnottella di pasta madre o lievito a pasta acida o “naturale”. 2. Il lievito di birra fresco sbriciolato. E’ l’ideale per iniziare una potente ed efficiente coltura di pasta madre, che migliorerà di volta in volta. 3. La pasta madre dopo il rinfresco, sotto forma di pastella cremosa fermentata pronta per essere usata come lievito per il pane. Notare le bollicine. Dovrebbe risultare di volume doppio rispetto alla pastella ottenuta al momento dell'aggiunta dell'acqua e della farina. 4. Pane sfornato, con la tipica forma tradizionale etrusco-romana (o all’italiana) a focaccia bassa, suddiviso in quattro da due tagli superficiali incisi nella pasta prima di infornare. Non si tratta d’una “croce” come crede il popolino cristiano superstizioso, ma di linee di minor resistenza che faciliteranno la lievitazione della pagnotta cruda e poi dopo la cottura predisporranno la divisione in quattro della pagnotta anche senza coltello (panis quadratus).


AVVERTENZA. L’articolo contiene ancora troppe ripetizioni, frutto di aggiunte successive, che innervosiscono l’autore stesso, poco paziente, quando rilegge qualche brano dell’articolo, figuriamoci i lettori. Il fatto è che l’autore non trova mai il tempo per eliminarle! Sostiene infatti che "tanto vale, allora, scrivere un altro articolo"... In effetti, la riscrittura in “bella copia” senza ripetizioni, sarebbe così lunga che tanto varrebbe scrivere un altro articolo, magari uno di quelli che dovrebbe scrivere da anni e che rimanda sempre! Vogliate scusare… Oppure vogliate correggerlo voi stessi (i più bravi in scrittura). Se non lo abbreviate voi... Ah, dimenticavo: poi mandatemi il nuovo testo abbreviato, così lo pubblico (dopo un controllo a campione).

AGGIORNATO IL 31 GENNAIO 2017

Etichette: , , , , , , , , , , ,

mercoledì 10 settembre 2008

UOVA. Non ridurle come i formaggi. La scienza smentisce medici e dietologi.

Uova galline ruspanti deposte sulla paglia (quattro)(picc) Rivalutiamo le uova, alimento naturale leggerissimo, con pochi grassi, con poche proteine (ma sono le più complete in assoluto, il punto di riferimento: valore 100), tra i più digeribili, addirittura il più antico instant food (un uovo al naturale si cuoce in 3 minuti, e il tuorlo, anzi, si può fare a meno di cuocerlo).
      Poi, tra i vari cibi grassi, tra cui i formaggi, collegati dalle ricerche epidemiologiche ai tumori se mangiati in eccesso, le uova brillano perché sono un alimento “assolutamente neutro rispetto al cancro, quindi da raccomandare” – scrive l’oncologo David Khayat, presidente dell’Istituto Nazionale dei Tumori francese – visto che nessuno studio serio ha provato questo rischio, a quanto riporta il rapporto annuale del World Cancer Research Fund del 2007.  Ecco perché nel suo Le Vrai Régime Anti-Cancer nelle poche righe dedicate alle uova Khayat consiglia: “Mangiatene a volontà, a meno che non abbiate problemi di colesterolo”, il che vuol dire – specifichiamo noi – che non si sia già malati (La vera dieta anti-cancro, ed. it., Mondadori, p.100). Insomma un alimento senza difetti.
      E, a parte il colesterolo in eccesso nel sangue (ipercolesterolemia), che è sintomo di una malattia, che dire del colesterolo alimentare presente nel tuorlo dell’uovo (che è – attenzione - un componente nutrizionale utile e non va confuso affatto con una malattia)? E' eliminato dal fegato nelle persone sane e normali. Tanto che, a dispetto di leggende popolari e timori di medici che non studiano, in teoria non c'è limite al consumo. Questa rivelazione della scienza, che purtroppo tarda ad essere accettata dall'opinione pubblica, permette di consumare molte più uova e molto meno formaggi, questi sì, a rischio. Per i vegetariani, che spesso devono arrampicarsi sugli specchi per avere proteine di alta qualità in un alimento poco voluminoso e facilissimo da digerire, per i naturisti e salutisti in genere, l’uovo è una vera manna.

Uova e Formaggi a confronto (Tabella)
   
      Sul falso problema colesterolo nelle uova si veda l'articolo dedicato nel blog specializzato Love-Lacto-Ovo-Vegetarian, Al contrario delle uova, latte, yogurt, latticini freschi e formaggi più o meno stagionati – tutte delizie per me, lo confesso – hanno subìto un duro colpo dagli studi di epidemiologia, anche se va aggiunto che le indagini statistiche fondate sui diari e sulla memoria alimentare dei pazienti si prestano a qualche errore.
     Fatto sta, che oggi per chi è "science addict", cioè molto sensibile alle scoperte scientifiche ("schiavo" sarebbe la parola giusta), i formaggi si possono mangiare solo a mezze porzioni. Basta guardare la Tabella.       Chi, come me, ne è goloso deve ricorrere a contorti trucchi psico-organolettici per consumarne poche decine di grammi. Il più efficace dei quali, lo regalo ai lettori, è mettere in tavola solo una scheggia di 30-50 g del formaggio più salato e meno adatto alla tavola che trovate. Per esempio la ricotta salata di Sardegna (che si trova perfino da Todis, in curiose formette tronco-coniche) o il cacio-ricotta di Puglia (costoso e più raro, ma non fate i furbi: deve essere stagionato), entrambi destinati ad essere grattugiati sulle paste. Altrimenti ricorrete all’arma letale: il pecorino romano stagionato, probabilmente il più salato formaggio italiano. Non vi piace il salato? Peggio (anzi, meglio) per voi: e allora non mangiate formaggi.
      Perché questa piccola tortura pur nel piacere del mangiare latticini? Ma perché ho scoperto che con questo trucco si inganna il palato e se ne mangia molto di meno. Al contrario, sbagliano le ragazze ad acquistare solo latticini teneri, acquosi e insipidi, secondo loro "leggeri" come mozzarelle, fior di latte, stracchini, robiole, caciotte, creme di yogurt, e non parliamo di quelli inventati dall’industria come "fiocchi", formaggini e creme spalmabili, o altri pseudo-light. Sono ben dotati di grassi, altroché (v. Tabella), e per di più il loro gusto neutro, la consistenza morbida o acquosa, e le mistificazioni della pubblicità li fanno accettare come "leggeri". E perciò se ne mangiano di più.
      Queste acrobazie non bisogna farle con le uova, alimento sanissimo, poco grasso e addirittura poco proteico (anche se per qualità, cioè assimilabilità, è il "re delle proteine"), la cui porzione unitaria – un uovo – è davvero poca cosa, ricco com’è di acqua. Non lo dice mai nessuno, né dietologo, né nutrizionista, né medico: ma la porzione tipica dell'uovo (anche ogni giorno, perché no?) è di 50 g o poco più, cioè 1 uovo. Porzione piccola adatta al "parco naturista" che io consiglio vivamente.

Per rendersi conto di quanto sono bassi i valori di 1 ipotetico uovo da 50 g, basta dividere a metà i valori della colonna dell'uovo sulla tabella, visto che 100 g equivalgono a circa 2 uova. Un uovo, insomma, è un'inezia, rispetto alle porzioni abituali di formaggi. Lo stomaco se ne accorge appena. Tanto piccolo è un uovo che nella ristorazione, da sempre, la porzione presentabile è di 2 uova. I valori della composizione di 2 uova reali oggi in commercio sono più o meno quelli della tabella, o qualcosina di più, vista la fissazione odierna di ottenere con la selezione e i mangimi uova sempre più grosse. Anzi, colgo l'occasione per invitare a scegliere sempre le uova più piccole, quasi sempre ottenute dalle galline più giovani oppure da allevamenti rustici non intensivi, gli unici che noi tolleriamo. Non per eventuali rischi, inesistenti, ma solo per contrastare questa moda assurda del gigantismo (anche nella frutta) a scapito spesso della qualità. Quindi un alimento leggerissimo, l'ideale per i bambini, anche piccolissimi, gli adolescenti, le donne, gli anziani, insomma per tutti.
      Eppure sulle uova grava un’assurda leggenda sanitaria che tende a porre limiti severi al loro consumo. Deve essere stata alimentata dai medici generici, che abituati a visitare malati, non persone sane, istintivamente considerano l’eccesso di colesterolo nel sangue dipendente dal colesterolo dei cibi. Ma la scienza ha dimostrato che così non è. Strano, piuttosto, che siano caduti in questo tranello anche molti nutrizionisti e dietologi, perfino quelli dell’INN (oggi Inran). Probabilmente perché molti di loro sono di origine medica e più sensibili alle paure dei colleghi che lavorano in trincea nelle Asl.
      Ebbene, bisogna dire con brutalità che queste limitazioni (p.es, "3 o 4 a settimana") non sono scientifiche, non hanno alcun senso. Gli studi sperimentali dimostrano che quasi non c’è limite, se non il buonsenso. Fino a 1 o 2 uova al giorno, il corpo neanche si accorge del colesterolo delle uova. E neanche quando il limite è stato superato di molto, come nel famoso caso del vecchio dell’Oregon, di 88 anni, che in gerontocomio consumava da 15 anni 25 uova al giorno, o negli esperimenti su volontari a cui i ricercatori avevano dato una tazza piena di tuorli, il colesterolo ematico è salito alle stelle. Tutt’al più, è aumentato del 10 per cento, che è davvero poco. Il che vuol dire che chi aveva 150, dopo le abbuffate di tuorli ne avrà avuto 165 mg/100ml.
      Insomma, poiché il suo contenuto in colesterolo era considerato l’unico punto debole dell’uovo, la prova che il colesterolo alimentare incide poco o nulla (per 1 o 2 uova al giorno non incide minimamente) sul tasso ematico di colesterolo dei soggetti normali lo riabilita, e ne fa l’alternativa ideale alla carne, ormai considerata un alimento a rischio, e anche ai formaggi, sempre troppo grassi e troppo proteici.
      Oltre alla leggenda del colesterolo (ancora oggi molti medici di base confondono tra colesterolo alimentare e ipercolesterolemia ovvero l’eccesso di colesterolo nel sangue, che è patologica), c’è la leggenda delle diete iperproteiche “da palestra” che portano tanti sportivi creduloni addirittura a mangiare grandi frittate fatte di soli albumi (gettando il tuorlo!). Sciocchezze insieme anti-tradizionali e anti-scientifiche. Quindi usiamo più uova, con tutto il tuorlo (ricco di antiossidanti importanti come la luteina, protettiva dell’occhio e preventiva della degenerazione maculare), per un’alimentazione naturale più leggera, meno grassa e meno proteica. Ne parlo più diffusamente in vari articoli sul blog specializzato Love-Lacto-Ovo-Vegetarian, tra cui in questo articolo monografico.

IMMAGINI. 1. Quattro uova appena deposte sulla paglia da galline ruspanti di differente età. 2. Tabella di comparazione tra uova e formaggi. 3. Il curioso monumento all’uovo di villa Doria Pamphili, Roma (foto di N.Valerio 2011). L’uovo era nell’antichità, fino ai giorni nostri, il simbolo più ricorrente della fecondità, della ricchezza e quindi dell’augurio.

Etichette: , , , , , ,